La Classificazione dei Cocktail – Prima parte

Come classificare i cocktail in Famiglie e le classificazioni secondarie

Indice

    La classificazione dei cocktail

    Se stai cercando una spiegazione su come suddividere i cocktail in maniera ordinata, logica, completa, dettagliata e sensata, sei nel posto giusto. Qui troverai tutto ciò di cui hai bisogno per comprendere come i drink (una vastità apparentemente eterogenea) possano in realtà essere classificati e organizzati in modo chiaro e coerente.

    La suddivisione dei cocktail è un processo affascinante che può coinvolgere diversi fattori, come gli ingredienti di base utilizzati, le tecniche di preparazione, i sapori, il tenore alcolico, il miglior orario di consumo o altri parametri. Quindi, partirò da qui: proverò a definire in base a cosa è possibile classificare i cocktail inquadrando prima i diversi e più diffusi sistemi utilizzati ad oggi attraverso quelle che definisco classificazioni secondarie, per arrivare al cuore della questione, quella delle famiglie, ossia strutture ricorrenti e riconoscibili, che per me rappresentano la classificazione primaria.

    Per questo motivo ho scritto due articoli: nel primo (questo) ti racconterò appunto delle classificazioni secondarie e della logica alla base delle famiglie dei cocktail, mentre nel prossimo articolo entrerò maggiormente nel dettaglio cercando di argomentare e schematizzare ogni scelta.

    Non importa se sei un principiante, un appassionato o un esperto di miscelazione, questi articoli ti offriranno una guida completa per comprendere e apprezzare i cocktail in modo più approfondito. Quindi, preparati a esplorare il mondo affascinante dei cocktail e ad arricchire la tua esperienza di degustazione. Sono qui per guidarti in questa avventura, passo dopo passo, offrendoti il mio punto di vista.

    Classificazione alcolica – secondaria

    Personalmente divido i cocktail in 5 fasce, che puoi trovare come filtri di ricerca all’interno del ricettario Drinks!.

    Analcolico 0%vol
    Tutti i drink senza alcol, chiamati “Analcolici” o anche “Mocktail”.

    Low alcol < 9% vol
    Sono tutti quei drink molto leggeri e adatti ad ogni palato. Nella mia classificazione considero rappresentanti di questa fascia le bevande che hanno al massimo 8%vol e che nella maggiore parte dei casi si aggirano intorno ai 6-7%vol. Ne sono esempio per esempio il Fusettone o il Pimm’s Cup. 

    Moderato 9-15%vol
    Qui troviamo drink sempre leggeri ma dove l’alcol inizia a farsi sentire in modo elegante. Vi troviamo tutti i Long drink come Gin Tonic, Moscow Mule, Garibaldi, etc.

    Medio alto 16-20%vol
    Sono cocktail caratterizzati da una presenza importante di alcol. Ad esempio, il Negroni coi suoi 17%vol, piuttosto che un Bobby Burns con 18%vol. In questo caso, siamo davanti a drink che possono risultare “forti” per alcuni consumatori.

    Alto > 20%vol
    Eccoci, qui la questione si fa più impegnativa. Se già i drink nella fascia precedente non erano per tutti,  qui alziamo ancora la soglia. Vi troviamo il Dry Martini piuttosto che il potentissimo Zombie.

    La quantità di alcol presente in un drink invece, che normalmente si misura in grammi, non è il tenore alcolico. Con accuratezza, infatti, si potrebbe esplicitare la precisa quantità di alcol contenuta nelle bevande, poiché ciò riflette la reale grammatura di alcol assunta, mentre il tenore alcolico è un elemento che influisce maggiormente sulla percezione dell’alcolicità durante la degustazione.

    Classificazione per quantità – secondaria

    In questa suddivisione ragiono per volume del drink, ma ho bisogno di chiarire a cosa faccio riferimento. Io intendo la quantità di prodotto iniziale, sommato all’acqua che porterà la diluizione del ghiaccio (shakerandolo, per esempio, o semplicemente versando i prodotti su ghiaccio) e prendendo in considerazione anche il bicchiere di servizio. Cosa c’entra il bicchiere di servizio? C’entra eccome, perché se il bicchiere contiene ghiaccio il drink continuerà a sciogliersi e di conseguenza aumenterà anche il proprio volume, mentre se servito in una coppetta rimarrà più statico.

    Short drink
    – Circa 70-100 ml di ingredienti iniziale
    – Circa 50 ml circa di diluizione (tecnica Shake o Stir)
    – Serviti senza ghiaccio in coppetta
    Es: Vodka Martini, Manhattan, Rob Roy.

    Medium drink
    – Circa 100 ml di ingredienti iniziali
    – Circa 50 ml di diluizione (tecnica Shake o Stir)
    – Servito in un bicchiere basso con ghiaccio (che continuerà a sciogliersi)
    Es.Negroni del Marinaio, Americano, Black Russian.

    Long drink
    – Circa 150 ml di ingredienti iniziali (di cui circa 1/4 alcolici)
    – Circa 20 ml di diluizione
    – Servito in un bicchiere alto con ghiaccio (che si scioglierà ancora)
    Es.Cuba Libre, Screwdriver.

    Per fascia oraria di consumo – secondaria

    Specie in passato si era soliti dividere i cocktail per fasce orario di consumo. Per quanto proverò ad argomentarla, per me è una classificazione superata, perché è sicuramente vero che alcuni cocktail si prestano meglio ad essere consumati in aperitivo piuttosto che dopo cena, ma sbaglieremmo se fossimo troppo rigidi in questo senso. Se un drink dolce non è indicato fra le proposte di un locale all’ora dell’aperitivo ma al cliente piacciono i sapori zuccherini prima dei pasti, perché non posso esaudire la sua richiesta? Oppure, prendi come esempio l’Espresso Martini: in Italia non ci sogneremmo mai di consumarlo in aperitivo, mentre in Inghilterra è tra i drink più consumati a qualsiasi ora, dall’happy hour al dopo cena, fino al suo consumo durante i pasti!

    Quindi, il mio consiglio è sicuramente quello di leggere la suddivisione qui sotto, ma di continuare a ragionare con la mente aperta.

    Pre-dinner
    Questi sono i drink che meglio si prestano ad accompagnarti verso un pasto o durante un brunch, composti da ingredienti amaricanti, vini, Vermouth, Bitter o sapori secchi.

    After-dinner
    Sono i drink normalmente potenti e/o dolci.

    Any-time
    Sono drink leggeri o freschi adatti ad essere consumati a qualsiasi ora della giornata.

    Classificazione storica – secondaria

    Ho già trattato questo argomento in questi due articoli, “La storia dei Cocktail” Prima parte e Seconda parte, dove ho definito i seguenti periodi storici:

    • Ancestrale (prima del 1806)
    • Pre-classico (1806 – 1861)
    • Classico (1862 – 1930)
    • Classico Moderno (1931 – 1999)
    • Contemporaneo (dal 2000 ad oggi)

    Classificazione IBA

    Qui arriverà un articolo dedicato, non temere, per ora bignamino.  IBA (Internationl Bartending Association) stila periodicamente la codifica ufficiale delle associazione che ne fanno parte. La prima codifica è del 1961, l’ultima del 2023. La lista negli anni ha subito e continuerà a subire modifiche, cercando di intercettare mode, stili di consumo e grande attenzione alla miscelazione classica. Per alcuni è la Bibbia, per altri un importante punto di riferimento.

    Le famiglie dei Cocktail

    Classificare i cocktail per famiglie è una sfida ardua, spigolosa e piena di insidie. Quando ho mosso i primi passi nel mondo del bar, ormai più di 20 anni fa, nessuno mi ha mai spiegato in modo chiaro cosa fosse un Collins, un Fizz, un Sour o un Daisy e ancora oggi vedo molta confusione.

    Prova a chiedere a due barman diversi cosa intendono con i termini Highball, Collins o Fizz e con tutta probabilità riceverai due risposte diverse. Gli stessi libri che hanno dato il via alla miscelazione classica e che iniziarono ad utilizzare i termini che oggi leghiamo alle famiglie sono pieni di contraddizioni o di piccole differenze tra una famiglia e l’altra, portando molto spesso ad ancora più confusione.

    Più volte in passato ho provato a cercare una classificazione che mi convincesse, ma ad un certo punto ho sempre gettato la spugna o mi sono accontento di risposte e definizioni parziali, anche se sentivo che i termini che stavo utilizzando e i modi attraverso i quali stavo classificando non mi convincevano a pieno.

    Fino ad ora, quando tra gli obietti di Drinking.me mi sono messo in testa di arrivare ad una soluzione che potesse funzionare.

    A cosa serve classificare i drink per Famiglie?

    Iniziamo col chiederci a cosa serve e se ha ancora senso classificare i drink nel 2024 dove tutto è  così fluido. La mia risposta è: assolutamente sì! È un po’ come imparare la lingua latina alle superiori: apparentemente sembra che non serva a nulla ma in realtà ti aiuta a creare la tua forma mentis per accedere ed elaborare informazioni, ti permette di capire l’etimologia delle parole e i loro possibili significati (senza aprire il dizionario) o di ampliare il tuo personale vocabolario. 

    Classificare i cocktail serve a ricordarseli. Spesso mi viene chiesto qual è il modo più semplice per memorizzare le ricette dei drink. Se impariamo a ragionare per famiglie sarà più facile abbinare ciascun cocktail ad una data famiglia, al cui interno troviamo una struttura ricorrente. Una conseguenza sarà anche il fatto che ti sentirai più sicuro in quello che fai.

    Classificare i cocktail per famiglia ti aiuta a sapere di cosa stiamo parlando senza nemmeno avere visto il drink. Se ti dico che quel drink è un Fizz piuttosto che un Collins o Sour, conoscendo le strutture dei drink saprai già chi hai davanti.

    Classificare i cocktail serve ad allenarsi e a ragionare. Comprendere le varie famiglie dei drink o provare a classificare un drink che si ha davanti è un vero e proprio esercizio. 

    Classificare i cocktail serve a saperne creare di nuovi. Partendo da strutture e abbinamenti consolidati sarà più facile muovere i passi nella creazione di un nuovo drink. Inoltre, ricorda sempre che conoscere le regole è il primo passo per infrangerle.

    Classificare i cocktail NON serve a tediare i clienti su aspetti di cui non gli importa nulla. Ad atteggiarvi come professori. A innescare discussione sterili con i colleghi.

    Quale è la logica che ho seguito nell’identificare le Famiglie dei cocktail?

    Alla base di tutto ho provato a identificare delle macro-famiglie, ovvero i gruppi principali in cui dividere i drink. La questione però non è stata immediata, sia perché alcuni drink appartenenti ad una famiglia condividono allo stesso tempo le caratteristiche di un’altra, sia perché cercare di semplificare è spesso un processo lungo e più complicato di quanto si pensi.

    Dopo aver individuato le famiglie principali, ho provato a declinarle a loro volta in sotto-famiglie. Questo è stato il lavoro più lungo e ostico, dove sono più volte tornato sui miei passi per poi ripercorrerli ancora, rifacendo mille volte gli stessi ragionamenti.  

    Sia le le macro-famiglie che le loro declinazioni dovevano inoltre avere la caratteristica di contenere drink attuali, dove per attuali intendo adatti ai gusti di oggi. 

    Il concetto che mi ha permesso di definire questa suddivisione è stato: se una famiglia principale e la sua sotto-famiglia non fanno capire immediatamente di cosa stiamo parlando, allora non funziona. Sembra scontato, ma non lo è.

    Quali sono le Famiglie dei cocktail?

    • Long Drink
    • Sour
    • Spirit Forward
    • Sparkling
    • Hot!
    • Fuori produzione

    Nello strumento ABC di Drinking.me troverai uno schema di famiglie e sottofamiglie con delle spiegazioni schematiche, mentre sta per arrivare un prossimo articolo dove entrerò nello specifico di ognuna, rimani sintonizzato!