Americano
Il primo drink italiano, figlio di un’evoluzione in perenne mutamento dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri.
- Scheda
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Ricetta
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Gusto
Sensazione
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Calorie
Ten. alcolico
Preparazione
Versa gli ingredienti nel bicchiere già freddo pieno di ghiaccio e mescola delicatamente. Infine, sprizza il twist di limone e lascialo cadere all’interno del drink.
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Americano, un cocktail italiano
Se non conosci l’Americano e stai cercando informazioni, sei nel posto giusto. Spero che questa lettura possa essere un punto di partenza interessante per conoscere questa bevanda meravigliosa.
Se invece sei un professionista e hai cinque minuti, troverai il riassunto esaustivo della storia dell’Americano (che non ti farà male), oppure scoprirai che quanto conoscevi su questo drink non era poi così tanto accurato.
Lo dico piano e sarò banale, ma questo è uno dei miei drink preferiti in assoluto. Inoltre, è uno di quei drink per mezzo della quale potrai valutare le capacità del bartender che hai davanti, perché nella sua semplicità è un cocktail pieno di attenzioni: la scelta del bicchiere, del Bitter, del Vermouth, la quantità di soda, bilanciamenti e twist agrumati.
L’Americano ieri e oggi
Oggi siamo abituati a conoscere e bere l’Americano servito in un double rock glass, largo e pieno di ghiaccio, con Bitter e Vermouth dolce rosso in parti uguali, soda e tutto va giù che un piacere. Ma una volta non era così: una volta era piccolo, senza ghiaccio e molto diverso, e sono sicuro che anche allora andava giù che era un piacere. Si parte!
Sfatiamo qualche mito
Ciò che l’Americano può insegnarci, oltre a fregiarci di orgoglio per la grande tradizione dei nostri prodotti nazionali e per il loro riuscito utilizzo in miscelazione, è che spesso la storia del bere miscelato non è costituita di pillole di eventi distaccati e non comunicanti fra di loro (come nel caso degli exploit creativi di alcuni barman a cui si attribuisce la paternità di determinati drink), ma è composta da una lunga e lenta evoluzione a cui più o meno anonimi protagonisti hanno dato contributi differenti e tutti importanti fino al raggiungimento del risultato finale. Preferisco quindi non farmi affascinare dalle correlazioni dell’Americano con il pugile Primo Carnera (storia che mi hanno raccontato innumerevoli volte), con l’arrivo degli americani in Italia al termine della Prima guerra mondiale o con le sue analogie al Milano – Torino.
Spesso, infatti, i due drink erano considerati la medesima bevanda, come dimostrano le versioni pubblicate sugli articoli di giornale o sui ricettari dell’epoca: la ricetta dell’Americano sul libro del 1920 di Ferruccio Mazzon, Il Barista. La Guida Del Barman, viene riportata senza la presenza della soda; mentre la ricetta del Milano – Torino presente sul 1000 Misture di Elvezio Grassi del 1936 prevede come ingredienti Vermouth, Bitter e “Seltz fresco”.
Un libro ci indica la via
Ritengo che sia molto più corretto seguire la strada tracciata da Lucio Tucci e Mauro Mahjoub nel loro libro L’Ora Dell’Americano – Primo Cocktail Italiano edito da Hoepli nel 2021, in cui, armatisi di pazienza accademica, hanno provato a tracciare una cronografia della presenza del drink in qualsiasi documento stampato dalla metà dell’Ottocento in poi su cui siano riusciti a mettere le mani, affrontando un viaggio fra storia, cultura e società lungo quasi due secoli.
Il Vermouth
E non potevano non partire dal più antico degli ingredienti che compongono l’Americano, il Vermouth, ideato da Benedetto Carpano a Torino nel 1786: fenomeno di consumo di massa già in patria, tanto da caratterizzare l’ora dell’aperitivo, sappiamo che nella prima metà del XIX secolo il prodotto era già esportato negli Stati Uniti. Come ci fa notare Davide Wondrich sul suo Imbibe!, è assolutamente certo che una volta toccata terra americana qualche bartender abbia provato a miscelare il vermouth nella maniera più canonica che vi fosse, in un Cock-tail, inteso come la categoria di bevande miscelate composte di zucchero, acqua, Aromatic Bitters e base alcolica (la medesima struttura dell’Old Fashioned).
La prima menzione di un Vermouth Cocktail (in realtà un semplice Vermouth raffreddato con ghiaccio e aromatizzato con una scorza di limone) compare nel 1869 sullo Steward And Barkeeper’s Manual, mentre nell’edizione del 1887 del proprio libro, Jerry Thomas ne propone una variante “Fancy” con Aromatic Bitters e Maraschino.
Una società in mutamento
Sono anni di emigrati europei verso gli Stati Uniti in cerca di lavoro e di primi turisti “globali” capaci, grazie alle moderne tecnologie sviluppate nel settore dei mezzi di trasporto, di girare il mondo come mai prima di allora si era potuto immaginare, con la possibilità di conoscere popolazioni lontane ed i loro costumi e a loro volta far conoscere le proprie tradizioni per i quattro angoli del globo. Un primordiale “meltin’ pot” che non ha risparmiato neanche il mondo della miscelazione ed i suoi prodotti, che proprio nell’epoca della nostra trattazione cominciano a divenire internazionali. E così in Italia si comincia a sentire parlare di “american cocktail”, termine probabilmente evolutosi successivamente in “americano”, ad indicare una generica bevanda composta miscelando liquori differenti, proprio come si era soliti fare negli Stati Uniti.
Le prime menzioni
Tucci e Mahjoub hanno ritrovato una prima menzione a stampa della struttura del drink nella commedia in tre atti del 1882 Montecarlo, scritta da Edoardo Giraud, in cui l’autore fa ordinare dalla protagonista Cora un “vermouth – bitter – seltz”, a testimonianza del fatto che i tre ingredienti venivano già miscelati insieme nella seconda metà dell’Ottocento.
A confermare la tendenza non mancano anche ricettari coevi: nel 1889 Emile Lefeuvre pubblica il proprio Méthod Pour Composer Soi – Même Les Boissons Américans, Anglaises, Italiennes, etc. in cui compare la ricetta del Vermouth De Turin Au Fernet Branca, composto di vermouth, fernet, ghiaccio tritato e soda e definita come “l’aperitivo preferito in Italia”; sul The Flowing Bowl del 1891 di William Schmidt compaiono nella stessa pagina tre drink a base vermouth e bitter, The Great Appetizer, Bon – Appetit e Appetizer à l’Italienne (quest’ultimo composto di vermouth, Fernet Branca, assenzio e sciroppo di zucchero).
Il Vermouth al bitter, o “Americano”
Il connubio vermouth e bitter era così in voga in quegli anni che molte case produttrici di vermouth iniziano a commercializzare una versione già pronta in bottiglia addizionata di una nota amaricante, spesso donata dalla genziana, e a distribuirla con il nome di Vermouth al Bitter o “Americano”.
La scelta del nome “Americano”, secondo quanto riportato da Arnaldo Strucchi sul suo Il Vermouth Di Torino del 1907, si dovrebbe al fatto che “negli Stati Uniti si ha l’usanza di bere il vermouth mescolato con liquori amari e gin formando una bibita chiamata cocktail”. Il primo ad essere lanciato sul mercato fu nel 1891 quello dell’etichetta Cocchi, seguito poi da numerose aziende rivali: è da ritenere che lo stesso termine “Americano” possa derivare dalla parola piemontese “amaricà”, traducibile con “amaricato”, riferito al vino reso già amaro da un elemento botanico postumo.
Il cocktail Americano
Ritornando al drink, sembra che la prima menzione con il nome Americano sia quella presente su un articolo del quotidiano newyorkese The Sun del 1904, mentre la prima ricetta compare sul manuale tedesco del 1913 Lexicon Der Getränke, scritto da Hans Schönfeld e John Leybold, presentata come “la bevanda preferita degli italiani” e composta da vermouth, Fernet Branca, Angostura bitters, soda e una fetta di limone.
Bisognerà invece aspettare il 1924 e il Manual Del Bar di Antonio Fernàndez, di origine argentina, per ritrovare il Campari Bitter fra gli ingredienti dell’Americano (piccola curiosità, sul libro la ricetta precedente a quella citata è quella del Vermouth Cocktail). Probabilmente questa prima menzione del prodotto milanese è da imputare al grande numero di italiani espatriati nel Paese Sudamericano, che portarono con loro in Argentina questa versione dell’aperitivo.
Sembra che l’internazionalizzazione del drink fosse quindi già completata prima degli anni ’30 del Novecento e che la sua fama continuò ad accrescere fino a rendere l’Americano non solo un drink, ma un’intera categoria di bevande miscelate con una propria struttura delineata (alla maniera dei Sours, dei Fizzes, dei Daisies,…). E’ un esempio di questa tendenza ciò che riporta nel 1936 Elvezio Grassi sul suo 1000 Misture, in cui vengono presentate le ricette di dodici Americano differenti, rinominati a seconda del Vermouth o del Bitter miscelati.
Strutture e bicchieri ieri e oggi
Per quanto riguarda il profilo gustativo del drink, è importante precisare che la totalità delle ricette antiche menzionate si rifanno tutte ad una struttura in cui la quantità del Vermouth è sempre maggiore di quella del Bitter, anche in rapporto di 3 a 1, se non addirittura con una robusta dose di vino fortificato e l’ingrediente amaro dosato in gocce o dash. Questo per delineare la tendenza dei tempi passati di consumare l’Americano caratterizzato da uno spiccato sapore dolce, in totale contrasto con l’idea del cocktail che abbiamo oggi, dove l’equilibrio fra dolce e amaro risulta la chiave vincente di uno degli aperitivi più famosi del mondo, quando non spostata interamente sul sentore amaricante del Bitter.
Ieri era servito in un piccolo calicetto senza ghiaccio, oggi nella forma che tutti conosciamo in un bel bicchiere largo e con ghiaccio. Esiste anche in versione lunga e molto apprezzata negli Stati Uniti: Americano Higball.
La canonizzazione IBA
Se avessi scommesso sulla presenza dell’Americano nella prima lista IBA del 1961 avrei perso, perché contro ogni aspettativa è stato inserito solo nella seconda codifica del 1985. Lo ripeto anche qui, visto che spero che questa scheda venga letta in massa: le ricette IBA sono solo un punto di partenza. Il che non significa stravolgere i drink, quanto permettersi di operare variazioni in termini di bilanciamento senza stravolgerli.
Indice
Equilibri diversi
Come per il Milano – Torino o il Negroni, puoi divertirvi a trovare equilibri e sapori diversi variando le proporzioni e le tipologie di Vermouth e Bitter.
Quale è il miglior bitter per un Americano?
A meno che tu non stia lavorando su un twist, ti sconsiglio di utilizzare bitter troppo amari o dalle note troppo caratteristiche.
Quale è il miglior Vermouth per un Americano?
Anche in questo caso, il consiglio è quello di utilizzare un vemouth dolce rosso con caratteristiche standard, non troppo dolci, vanigliati o amaricati.
Fetta di arancia o twist di agrumi?
Una fetta di arancia lo addolcirà, mentre un twist di agrume gli donerà complessità aromatica. In questo caso preferisco il twist di limone che si sposa molto bene col Bitter e dona freschezza, ma non significa che non puoi decorare con una fetta di arancia.
Americano in versione Highball
Negli Stati Uniti è spesso servito in un bicchiere alto pieno di ghiaccio, con una maggiore quantità di soda ed è chiamato anche Americano Highball.
Americano o Negroni sbagliato?
Il famoso Negroni Sbagliato nato al Bar Basso di Milano, prevede il Prosecco al posto della soda ed è molto più simile ad Americano che ad un Negroni.