
Corpse Reviver No. Blue
Un drink blu che si porta dietro, nelle finalità della sua creazione, un concetto molto importante: quello dell’umiltà. Non prendiamoci mai troppo sul serio e il nostro lavoro ne gioverà.
- Scheda
- Storia
- Note
Ricetta
Sapore
Gusto
Sensazione
Aroma
Consistenza
Numeri
Calorie
Ten. alcolico
Preparazione
Shakera tutti gli ingredienti e filtra in una coppetta ghiacciata. Infine, sprizza il twist di limone.
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Indice
Take It Easy
Si, hai letto bene e hai visto bene. C’è del Blu. Un sacco di Blu. Ma aspetta a scandalizzarti, è per una buona causa, ed è una causa che appoggio con rispetto. No, la causa non è quella di tentare di ri-sdoganare il Blue Curacao di pessimo livello, dopo che per anni ci siamo impegnati ad eliminarlo dalle bottigliere e dagli speed rack delle nostre working station. La causa è molto più importante e decisamente utile a permetterci di fare al meglio il nostro mestiere, non per noi stessi, quanto più per i nostri clienti. Sintetizziamo il tutto con una frase: non prendiamoci troppo sul serio.
La guerra santa
È quello che ha fatto Jacob Briars quando ideò questo cocktail nel 2007, a Queenstown, in Nuova Zelanda. In quegli anni la Cocktail Renaissance era all’inizio della propria fase espansiva, cominciavano a vedersi in giro per il mondo i primi baffi arricciati e impomatati che spiccavano sopra farfallini, bretelle e reggi maniche; le prime strumentazioni da “mixologyst”, jigger, barspoon, swizzle stick e parisienne. E su tutto, due tendenze: ciò che era antico (come i drink a lungo dimenticati e ripescati da impolverati ed ammuffiti manuali) era figo e ciò che era moderno era da demonizzare senza pietà.
A farne le spese (giusto o sbagliato che fosse, lo deciderà la Storia) furono i drink dai colori sgargianti tipici delle discoteche di fine anni ’80 e di tutto l’ultimo decennio del millennio appena conclusosi. A pagare più di tutti il conto fu il Blue Curacao. Nella frenesia dovuta alla nuova identità che ora vestiva i bartender di tutto il mondo di mistero, orfismo, capacità divinatorie e qualche concetto di miscelazione, si arrivò addirittura a proclamare una Jihad, una guerra santa, nei confronti del liquore “infedele”.
Iconoclastia
Jacob Briars, con il giusto distacco dalle influenze umane che ognuno di noi dovrebbe essere capace di mettere in pratica per non farsi risucchiare nel tritacarne delle mode e delle manie passeggere, guardò dritto negli occhi il mondo della miscelazione e i propri colleghi che fino a qualche mese prima avevano miscelato Blue Hawaii con la faccia di coloro che stanno realizzando un drink fighissimo, prese il più “messianico” dei cocktail classici che stavano trainando il movimento di riscoperta delle vecchie ricette dimenticate, il più raffinato, equilibrato, etereo miscuglio di ingredienti che la mente e le mani di Harry Craddock abbia mai partorito…e lo fece blu! E attenzione, il drink funzionò alla perfezione, perché fu ordinato e consumato in tutto il mondo, a riprova che spesso le tendenze del mercato e le ideologie dei bartender viaggiano su due rette parallele che non si incontrano mai. Jacob Briars le ha fatte incontrare e che tu sia d’accordo o no, gli dobbiamo tributare l’onore delle armi.
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La China
Il drink nasce con il vino aromatizzato alla china, il Kina Lillet, oggi non più in produzione e sostituito da molti con il vino aromatizzato Lillet Blanc, che però manca della complessità della China. Oggi esistono in commercio alcuni aperitivi di vino alla china, o in alternativa potresti pensare di tagliare in parti uguali (o a secondo del tuo gusto) un Americano bianco come quello di Cocchi con del liquore di china.