Gin Blossom
Nei primi passi della Cocktail Renaissance, alcuni pionieri tentarono di riportare in auge un concetto di Dry Martini Cocktail decisamente più morbido e facile da bere. Il Gin Blossom di Julie Reiner è oggi un esempio di quelle avanguardistiche sperimentazioni.
- Scheda
- Storia
- Note
Ricetta
Sapore
Gusto
Sensazione
Aroma
Consistenza
Numeri
Calorie
Ten. alcolico
Preparazione
Versa tutti gli ingredienti in un Mixing Glass ben freddo, stirra con ghiaccio a cubetti e filtra in una Coppetta Cocktail ghiacciata. Infine, sprizza gli olii essenziali di un twist di limone sulla superficie del drink e lascia cadere la scorza all’interno del bicchiere di servizio.
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Indice
La Storia insegna
All’inizio del Nuovo Millennio, il concetto di Dry Martini Cocktail si stava trasformando, proprio come era accaduto al principio del Novecento, ma con un’inversione di tendenza: alcune grandi personalità legate alla storia recente della miscelazione stavano andando a ripescare antiche ricette dimenticate di fine Ottocento, quelle che derivavano dal Manhattan e dal Martinez (tendenzialmente molto più dolci di quelle del secolo successivo), in cui la quantità di Vermouth (dolce, bianco o rosso che fosse) rappresentava ancora una percentuale importante della ricetta del drink, a volte anche oltre al 50% del volume totale degli ingredienti.
Sasha e Audrey
Il primo ad inaugurare questa tendenza fu Sasha Petraske, di ritorno dal suo soggiorno a Londra col ristoratore Jonathan Downey per aprire la succursale del proprio Milk & Honey nella capitale inglese. Petraske si presentò ad un concorso sponsorizzato dalla Tanqueray e organizzato dalla rivista Esquire proprio sul cocktail Martini, in cui ne miscelò una versione con gin e vermouth dry in rapporto 2 a 1, quando la tendenza comune al tempo era quella di vaporizzare il vermouth sul ghiaccio di lavorazione del drink, se di non escluderlo completamente dalla ricetta. Audrey Saunders inserì la sua variante 1 a 1 sul menù del Pegu Club nel 2005, rinominandolo Fitty – Fitty.
Julie Reiner
La terza pupilla di Dale de Groff, Julie Reiner non volle essere da meno e nel 2009, all’apertura del proprio Clover Club, decise di creare il Martini della casa miscelato con gin e vermouth bianco dolce in medesime quantità, arricchito dalle note aromatiche dell’aromatic bitters e da quelle fruttate dell’acquavite di albicocche. Era nato il Gin Blossom, conosciuto anche con il nome di Gin Blossom Martini. Da allora di strada il drink ne ha fatta parecchia, riuscendo ad inserirsi nei menù dei bar ai quattro angoli del pianeta e conquistando l’apprezzamento di moltissimi addetti del settore, che hanno ricominciato ad assaporare il gusto del vermouth bianco dolce all’interno di un grande classico, come non succedeva da oltre un secolo.
La struttura
Le note dell’acquavite di albicocca donano tridimensionalità all’accoppiata gin e vermouth, sfondando una “parete” gustativa che al binomio originale mancava decisamente, innestando i sentori di frutta matura sulla “botanicità” del distillato e sulla “florealità” del vino fortificato. Il Gin Blossom si rivela una bevuta molto moderna, da proporre ai clienti appassionati di Dry Martini Cocktail, che però esprimono il desiderio di provare qualcosa di più contemporaneo e dalle caratteristiche aromatiche sorprendenti rispetto al grande classico della miscelazione.
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Questione di proporzioni
Notoriamente, la versione della Reiner è riportata con gin e vermouth dolce bianco in parti uguali. In alcune ricette, però, si può trovare la quantità di gin doppia rispetto a quella del vermouth, andando così a modificare di molto il ventaglio gustativo del Gin Blossom. Il mio consiglio è seguire la versione originale della Reiner, ma di provare anche le varianti che puoi reperire su altre fonti per trovare il bilanciamento che ti piace maggiormente.