Champagne Cocktail
Per alcuni decenni lo Champagne Cocktail è stato simbolo di lusso e sofisticatezza. Ma qualche precisazione sull’evoluzione del vino francese bisognava che fosse fatta.
- Scheda
- Storia
- Note
Sapore
Gusto
Sensazione
Aroma
Consistenza
Numeri
Calorie
Ten. alcolico
Preparazione
Prendi un tovagliolino, metteteci sopra la zolletta e saturala con il Bitters. Nella coppetta ghiacciata versa lo Champagne, il Cognac e infine la zolletta di zucchero. Seguendo questo ordine, il vino non perderà le bolle. Infine, sprizza il twist di limone.
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Indice
Il primo twist sull’Old Fashioned
E’ sicuramente David Wondrich ad aver tracciato il più esaustivo studio sullo Champagne Cocktail, a seguito di numerose ricerche che poi sono confluite nel suo libro Imbibe!.
Come rende noto Wondrich, il drink è sicuramente stato la prima evoluzione del Cock-tail, inteso come l’unione di base alcolica, zucchero e aromatic bitters: ad un alcolico ad alta gradazione, come da tradizione americana del tempo, si cominciò a sostituire il prodotto di importazione francese.
Come riportato da Elizabeth Gabay nella voce dedicata allo Champagne Cocktail sul The Oxford Companion to Spirits & Cocktails, sempre ad opera di David Wondrich e pubblicato nel 2020, la prima descrizione del drink è del 1855, preparato presso un American bar di Panama, più o meno nel medesimo periodo in cui lo Champagne stava avviando la propria evoluzione verso la bevanda secca e frizzante che oggi conosciamo.
L’evoluzione dello Champagne
Fino agli anni ’40 dell’Ottocento, infatti, era consuetudine che lo Champagne venisse addizionato di zucchero dai propri produttori per sopperire alle produzioni di bassa qualità di alcune annate, facilitandone la bevuta e rendendolo un prodotto apprezzato per la sua dolcezza. Quando, a partire dalle metà del XIX secolo, gli sviluppi tecnologici dell’enologia permetteranno una migliore standardizzazione del processo produttivo, l’aggiunta di zucchero comincerà ad essere omessa sempre più maggiormente. Di fatto, nel momento in cui lo Champagne cominciò a tendere a quelle qualità che oggi fanno parti delle sue armi vincenti, i suoi consumatori continuarono a preferirlo con una spiccata tendenza al dolce. Da qui, l’idea di un drink a base Champagne ingentilito da una importante quantità di zucchero.
Il drink e la “febbre dell’oro”
Il cocktail, come abbiamo visto, era già in circolazione a metà dell’Ottocento, documentato anche dalle memorie di viaggi di Frank Marryat, autore e marinaio, che ne descrisse il consumo presso gli Argonauts di San Francisco, nome con cui all’epoca venivano chiamati i cercatori d’oro della Gold Rush californiana. Lo Champagne Cocktail esplose ben presto anche nel consumo fra gli esponenti dell’alta società e ciò è comprensibile se prendiamo per vere le informazioni che abbiamo del periodo, in cui si riscontrerebbe che questo drink era solito costare almeno cinque volte un normale Whiskey Cocktail (successivamente rinominato Old Fashioned).
Le prime testimonianze
La prima menzione a stampa su un ricettario è quella del 1862 nel libro di Jerry Thomas, The Bar-Tenders’ Guide: nell’opera lo Champagne Cocktail viene servito in un tumbler con ghiaccio, senza la presenza di Cognac o Brandy (aggiunte quest’ultime che a partire dai primi anni del Novecento saranno invece da considerarsi la regola), e il drink viene presentato come shakerato.
Per quanto la cosa possa sembrare un grave errore da parte del “Professor” Thomas, vi è una spiegazione storica anche in questo caso. L’elevato grado di carbonatazione presente negli Champagne moderni è frutto di un relativamente recente sviluppo delle sue tecniche produttive. In passato, questa tipologia di vino presentava una struttura molto più delicata, decisamente più vivace che frizzante, con una leggera sensazione di formicolio sul palato.
Per rinvigorire l’effetto “sparkling”, quindi, Jerry Thomas preparava il proprio Champagne Cocktail shakerandolo con il ghiaccio e utilizzando lo zucchero in grani, che coi suoi punti di enucleazione favoriva l’uscita dell’anidride carbonica dalla soluzione, rendendo il risultato decisamente più vibrante. Nella riedizione del 1887 dell’opera di Thomas (mentre la nuova versione “brut” del fermentato francese stava velocemente prendendo piede nei gusti della clientela) ghiaccio, tecnica e bicchiere di servizio vengono rivisti: il drink viene servito in un goblet, con “1 small lump of ice” e stirrato.
Entra in gioco il Cognac
L’aggiunta di Cognac alla ricetta sembra da attribuire, intorno al 1898, al bartender statunitense Joseph Haywood, mentre la standardizzazione di questa tendenza nell’editoria di settore è espressa per la prima volta sul Café Royal Cocktail Book di W.J. Tarling del 1937.
Come già accennato, lo Champagne Cocktail entrò nel consumo di massa e nell’immaginario collettivo come uno dei drink più eleganti in assoluto e la sua fama gli aprì le porte della Grande Arte, rendendolo protagonista di libri (come ne Il Grande Sonno del 1939 di Raymond Chandler) e film (l’esempio più famoso è quello nella pellicola Casablanca del 1942).
La canonizzazione IBA
Non presente nella prima codifica IBA del 1961, entrerà a farne parte con la seconda del 1986, non venendone più escluso fino alla più recente.
Indice
Cognac alle arance?
Nella ricetta IBA si riporta, con la dicitura “opzionale”, anche qualche goccia di Cognac alle arance. Sicuramente in questo caso il cocktail risulterà con complessità aromatica diversa.