Gin Fizz
Un drink che contende la popolarità ad altri classici intramontabili, come il Martini, il Manhattan e il Whiskey Sour. Pochi ingredienti che, se ben bilanciati, creano un’alchimia senza tempo. "Bevilo alla svelta!"
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Ricetta
Sapore
Gusto
Sensazione
Aroma
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Calorie
Ten. alcolico
Preparazione
Shakera tutti gli ingredienti tranne la soda e filtra nel bicchiere ben freddo senza ghiaccio. Ora, aggiungi la soda ben fredda e sprizza il twist di limone.
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Indice
Le origini
Come accade per molti altri famosissimi drink che sono pietre miliari della storia della miscelazione, ritrovare una cronologia ed una paternità per il Gin Fizz è veramente un’impresa ardua.
Non compare nella prima edizione del 1862 del The Bar-Tender’s Guide di Jerry Thomas (che non contiene nessuna menzione nemmeno del John Collins, quello che tecnicamente risulterebbe il suo più probabile “antenato”), che però riporta nella sezione del libro dedicata ai Punch la ricetta di un Gin Punch: attribuita a Alexis Soyer (il più famoso chef dell’epoca vittoriana), è composta da mezza pinta di old Gin (sic), un gill di maraschino, il succo di due limoni, la scorza di metà di uno dei due limoni, quattro once di sciroppo di zucchero e un quart (circa 950 ml) di German Seltzer water. A parte le quantità (il Punch era sicuramente destinato ad una bevuta “conviviale”) e l’utilizzo del liquore al maraschino, la miscela risulta essere effettivamente quello che oggi noi consideriamo un Gin Fizz.
Un possibile antenato del Gin Punch di Soyer sembrerebbe da ricondurre al Garrick Club Punch, introdotto all’interno dell’omonimo e prestigioso circolo londinese dall’impresario americano Stephen Price, prodotto a partire dai medesimi ingredienti e, secondo David Wondrich nel proprio The Oxford Companion to Spirits & Cocktails del 2021, principale vettore delle bevande miscelate americane all’interno della società britannica.
La prima menzione
Solo nell’edizione del 1876 Jerry Thomas implementerà il proprio libro includendovi, relegandole nell’appendice della pubblicazione, anche le ricette di quattro Fiz (sic): il Whiskey Fiz, il Brandy Fiz, il Gin Fiz ed il Santa Cruz Fiz, tutti in tecnica Shake, filtrati in un bicchiere al cui interno non si fa nessuna menzione del ghiaccio e riempiti con la “Seltzer water” di un sifone.
Il consiglio che Jerry Thomas appone alla fine della ricetta del Whiskey Fiz, che farà da standard a quelle degli altri tre, è un bellissimo biglietto da visita per il drink: “bere senza esitazione”.
Sulla stessa edizione, nella pagina accanto ai Fiz precedentemente citati, compaiono anche le ricette di tre Tom Collins, uno a base Whiskey, uno a base Brandy e l’ultimo a base Gin. Quello che colpisce sono le piccole differenze fra le due famiglie (quella dei Fizz e quella dei Collins), che col tempo andranno a caratterizzarle univocamente e a rendere le bevande diverse per qualità e preparazione. Nel libro, infatti, i Fiz riportano dosi inferiori di ingredienti, sono serviti in un generico “glass” e completati con “seltzer water”. I Collins, invece, hanno dosi maggiori, vengono serviti in un “large bar glass” e finiti con “plain soda water”. È vero, sembrano minuzie da topo di biblioteca…ma quando poi al bancone del bar un cliente vi chiederà che differenza c’è tra un Gin Fizz e un John Collins, ricordatevi dei topi di biblioteca!
Harry Johnson
Nel 1882 il Gin Fizz compare sul New and Improved Bartenders’ Manual di Harry Johnson a base Old Tom Gin, miscelato con tecnica Stir e recante il consiglio di consumarlo nel minor tempo possibile, pena la perdita del gusto e degli effetti sul cliente. I Fizz rientravano nella categoria dei Morning Cocktail, o Eye-Opener, a quel tempo, una famiglia di drink che aveva lo scopo di rimettere in piedi gli avventori dai postumi della sbronza della sera precedente.
Sul libro di Johnson compaiono anche il John Collins (a base Holland gin, quindi Jenever) e il Tom Collins (a base Old Tom), effettuati con la stessa tecnica del Gin Fizz, ma serviti in un bicchiere più ampio a causa della maggiore quantità degli ingredienti che li compongono, e senza indicazione sulla metodologia di consumo. Insomma, fino alla fine del XIX secolo a differenziare le due famiglie sembra essere quasi esclusivamente il bicchiere (e quindi le dosi) di servizio: più piccolo per i Fizz, più grande per i Collins.
Cinque anni dopo il libro di Johnson, esce la terza edizione dell’opera di Jerry Thomas, il The Bar-Tender’s Guide del 1887. Curiosamente qui le cose si complicano un pochino: i Fiz (sic), presentati in 6 versioni (fra cui la variante Gin Fiz con il Jenever, Silver Fizz e Golden Fizz), vengono ora preparati in tecnica Stir, mentre i Collins sono preparati con tecnica Shake. L’avevo detto che non sarebbe stata un trattazione storica facile!
Il Novecento
La situazione cambia nuovamente qualche anno dopo gli inizi del Novecento. Nel Manual of Mixed Drinks di Jacques Straub (1913), nel Recipes For Mixed Drink di Hugo Ensslin (1917) e nel Cocktails – How to Mix Them di Robert Vermeire (1922), il Gin Fizz è sempre preparato shakerato. La stessa tecnica la troviamo anche sul The Artistry of Mixing Drinks di Frank Meier del 1936.
A proporre una chiusa sull’argomento di dibattito riguardanti le differenze fra Fizz e Collins è nel 1948 David Embury, sul suo The Fine Art of Mixing Drinks: il Collins andrebbe servito in un bicchiere alto (dalle 14 alle 16 once di capienza) ricolmo di ghiaccio, mettendo tutti gli ingredienti nel bicchiere e miscelandolo gentilmente con il barspoon per preservare la sua effervescenza dal primo all’ultimo sorso della sua lunga bevuta; il Fizz è invece servito molto freddo (“3 o 5 minuti di shakerata non sono eccessivi“, scrive Embury), filtrato in un bicchiere da 6 o 8 once senza ghiaccio, colmato con la soda, servito (e rapidamente consumato) con la schiuma a fare da cappello al drink finito. Thanks a lot, Mr. Embury!
La struttura
Storie (o leggende) a parte, il Gin Fizz non delude mai. Se preparato con tutti i crismi, è un drink fresco, dissetante, che non stanca mai, delicato come una carezza ed efficace come un “pugno da dietro”, quando il numero delle consumazioni comincia a salire vorticosamente. Ideali in tutte le stagioni, dal brunch al digestivo post – cena, è presente in decine di versioni già codificate e personalizzabili in altrettante quantità. Impara a farlo bene, capiscine la struttura, valutane le possibilità di modifiche apportabili e avrai un drink imbattile nel tuo arsenale.
La canonizzazione IBA del Gin Fizz
Non rientrante nella prima lista IBA del 1961, il drink verrà integrato con la seconda codifica del 1986, da allora sempre presente nelle rielaborazioni successive.
Indice
Gin Fizz o Silver Fizz?
Se vuoi donare al Gin Fizz una struttura più morbida e setosa al palato, potete aggiungere 10 ml di albume pastorizzato nella ricetta. Tecnicamente così il drink diventa un Silver Fizz, ma faremo finta di non saperlo!
Gin Fizz senza ghiaccio e bicchiere piccolo
Per me il Gin Fizz è piccolo e senza ghiaccio, il che lo rende molto differente nella sua bevuta dal Tom Collins.